L'idea del Cervino e' partita l'inverno scorso quando
leggo sul newsgroup it.sport.montagna di un certo Daniele che cerca qualcuno con cui fare la via
italiana. Io rispondo e scopro che lui l'ha gia' tentata due volte, arrivando fino al Pic Tyndall (4200
m) quindi quasi in cima. Poiche’ non ho mai visto il Cervino da vicino penso
che sia importante fare la salita con qualcuno che conosce gia' la montagna.
Cosi' ci ritroviamo ad agosto 2001 con soli 3 giorni a
disposizione visto i vincoli dovuti al lavoro di entrambi. Saliamo a Cervinia giovedi sera (23/8) e
piazziamo la tenda in un prato nei pressi degli impianti di salita. La mattina dopo prendiamo il
primo troncone degli impianti di Plateau Rosa' che ci portano ai 2500 m di Plan Maison. Da qui
seguiamo un sentiro che taglia a mezzacosta una morena e ci porta al rif. Orionde'
(2800 m). Non c'e' piu' il servizio delle jeep che a pagamanto portavano la gente da Cervinia fino al
rifugio, ma almeno risparmiamo 500 m di dislivello con gli impianti.
Breve pausa al rifugio e ripartenza per il bivacco
Carrel (3830 m) dove passeremo la notte. Il primo tratto si svolge su ripidi pendii e canaloni e
piccoli pianori. Passiamo presso la croce Carrel, eretta in ricordo di J.A. Carrel che mori' di sfinimento
sul posto dopo aver riportato giu' dalla montagna due clienti in seguito ad una terribile
bufera. Arriviamo sui 3500 m circa della cresta del Leone e ci leghiamo per affrontare un lungo
traverso esposto su piccoli nevai e strette cenge.
Giunti al colle, diamo un'occhiata al panorama verso
il versante svizzero e pieghiamo decisamente verso destra affrontando cosi’ la cresta
del Cervino. Per placche e per il famoso Cheminee (un diedro verticale e liscio di 10 metri con
catena) arriviamo alla Carrel alle 14:30.
Il bivacco e' abbastanza grande, tiene 40 posti. Ha
una piccola stanza che fa da cucina con 5/6 fornelli a gas, una stanza piu' grande con i letti, e
una stanza privata dove dormono le guide. All'esterno c'e' una sorta di largo balcone in acciaio
fatto con una grata che e' sospeso nel vuoto e che lo rende particolarmente suggestivo. Il panorama
e' notevole, le vette piu' vicine sono la Dent d'Herens e la Dent Blanche, molto belle.
Il fatto di essere arrivati abbastanza presto e' molto
positivo perche' riusciamo a prendere due buoni posti per la notte. Approfittiamo del tempo a
disposizione per fare neve. La cosa e' tutt altro che semplice al punto che mi tocca imbragarmi e farmi
fare sicura da Daniele. Immaginate di essere su una parete nord con un pentolone e un
pentolino piu' piccolo per raspare la neve e vi fate un'idea della situazione.
Cosi' sciogliamo parecchia neve (piu' di un litro e
mezzo) che useremo per la minestra e il the, mentre l'acqua buona che abbiamo portato da valle la
useremo per il giorno dopo. Finiti i preparativi ci rimane ancora tempo per rilassarci,
godere il panorama e osservare il flusso continuo di cordate che arrivano sia dal basso che
dall'alto di ritorno dalla vetta. Ho anche il tempo di farmi calare di 40 metri nei pressi del
bivacco per recuperae una bella torcia frontale della Petzl praticamente nuova e di arrampicare su
facili rocce per tornare su. Tutti la rimiravano ma nessuno aveva il coraggio di andare a prenderla.
Verso le 18:30 prepariamo la cena in mezzo ad un gran
casino perche' la gente aumenta sempre piu'. Comunque va tutto bene, ceniamo, prepariamo le
cose per il giorno dopo e cominciamo a pensare a che ora partire. Nel frattempo passa una
guida a ritirare le 20 mila che ciascuna persona deve versare per il pernottamento.
Chiaccherandoci insieme scopriamo che le guide in genere partono verso le 5:30, quindi quando comincia
ad albeggiare. Noi non sappiamo bene che fare, se partire presto per evitare il grosso del
casino pero' con il problema di dover arrampicare alla sola luce delle frontali, oppure se
aspettare la luce dell'alba. Il discorso del buio non e' banale in quanto su roccia il buio e'
veramente.... buio (non come su ghiacciaio) ed inoltre, almeno nella parte iniziale, e' facile sbagliare via.
Incredibilmente, alle otto passate c'e' ancora gente
che sale e che non trovera' posto dove dormire. Ormai il bivacco e' stipato all'inverosimile.
Punto la sveglia alle 3:45 con l'idea di partire al massimo per le 5. La notte non riesco a dormire,
soprattutto per il rumore di quelli che stanno ancora cercando un buco dove sdraiarsi, pero' mi sento
bene, niente mal di testa. E non e' poco! Non ho mai passato una notte a piu' di 3800 m!
Quando ci alziamo c'e' gia' gente che fa colazione, io
preparo il the e mangiamo in piedi. I tavoli e le panche sono pieni di gente che dorme. Tutto
sommato ci prepariamo abbastanza in fretta e alle 4:30 siamo pronti per partire. Non fa freddo e
non c'e' vento, io indosso il solito capilene con il solito micropile e la giacca in goretex. Ci
leghiamo ad una decina di metri e partiamo alla luce delle frontali.
Giungiamo ben presto alla corda della sveglia dove
troviamo una cordata di 3 spagnoli che stanno facendo dei numeri non da poco per salirla.
Aspettiamo e ci raggiunge anche la guida con cliente. Gli dico scherzando "ma le guide non
dovevano partire alle 5:30 ? Allora c'era il trucchetto he ?" e mi risponde altrettando
simpaticamente che con tutto il macello che hanno fatto i primi che si sono alzati, tanto valeva alzarsi e
partire pure loro.
Superiamo gli spagnoli e stiamo dietro alla guida. In
questo modo non abbiamo il problema di cercare la strada giusta. Ad un certo punto a Daniele
si spegne la frontale perche' aveva le pile scariche e cosi' perdiamo tempo per cambiarle.
Rischiamo di perdere contatto con le altre cordate (soprattutto la guida!) proprio nel punto peggiore,
cioe' nell'anfiteatro prima della Grand Corde dove e' piu' facile sbagliare. Tuttavia riusciamo a ricongiungerci,
a trovare la Grand Corde e a salire sulla cresta.
Da qui non si puo' piu' sbagliare, la via e' a tratti
segnata anche con dei vecchi bolli rossi. Nel frattempo abbiamo superato altre cordate. Alle 6
passate possiamo anche spegnere le frontali, ora si procede anche senza, sempre in cresta, sempre senza
vento. Dove posso piazzo dei rinvii ma la via e' abbastanza tranquilla, io mi sento molto sicuro
e concentrato cosi' procediamo spediti. Ogni tanto Daniele si deve fermare per riprendere fiato.
Abbiamo davanti a noi solo 2/3 cordate. La guida nel
frattempo ha superato tutti. Arriviamo al Pic Tyndall, dove sfiliamo la piccozza per fare una breve
cresta su neve, molto esposta. Quindi cominciamo a disarrampicare veso l'Enjambee
(l'intaglio che separa il Pic Tyndall dalla testa del Cervino). Osserviamo le cordate che ci precedono e che
stanno affrontando, piu' in alto, la mitica scala Jordan. Per canaponi e tratti meno faticosi,
giungiamo anche noi alla famosa scala Jordan.
L'ho sempre immaginata come una lunga scala in corda
da afferrare per avvicinarla a se e da salire nel vuoto per superare una parete
strapiombante. Evidentemente ho lavorato un po troppo di fantasia. Sta di fatto che la scala e' lunga una
decina di metri, e' fatta di due canaponi belli grossi con pioli in legno altrettanto robusti ed e' molto
faticosa da salire sia perche' si trova a circa 4300 m (!) sia perche' effettivamente un po strapiombante
lo e'. Il piu' e' fatto. In breve, alle 9:00, raggiungiamo i 4476 metri della cima italiana del
Cervino.
E' strano perche' al momento la cosa non mi ha fatto
nessun effetto. Provo piu' emozione e gioia adesso che sono a casa e ci ripenso. Credo che sia
perche' ero molto concentrato, visto che tra l'altro ho tirato la via dall'inizio alla fine. Ci
stringiamo la mano e ci facciamo i complimenti per aver fatto la scalata in 4h30, un tempo di tutto
rispetto! Ci sediamo a mangiare qualcosa.
Il panorama e' incredibile. Getto lo sguardo giu' per
la parete nord, abbondantemente innevata, e penso a Bonatti che in un giorno d'inverno sali' da
laggiu' tutto solo. Scendiamo lungo la facile cresta che porta alla croce e facciamo delle foto.
Oltre la croce, la cresta conduce, molto piu' affilata e di neve, verso la vetta svizzera dove ci
sono alcune persone.
Alle 9:30 iniziamo la discesa. Mando davanti Daniele
che e’ un po stanco. Nei pezzi piu' impegnativi lo calo con un mezzo barcaiolo mentre io
scendo disarrampicando. Mi sento ancora molto bene e procedo sicuro. Avevo il timore di
trovare grosse complicazioni nell'incrociare le cordate in salita. In realta', non scendendo in
doppia, riusciamo a procedere bene senza troppi intoppi.
Osservo la cresta di Zmutt e noto delle cordate che
salgono per quella via che sembra molto bella. Non credendo ai miei occhi, incrociamo di nuovo la
cordata di 3 spagnoli che stanno ancora salendo. Non avevano ancora raggiunto il Pic Tyndall
(!) e stavano facendo una improbabile corda doppia per scendere da un breve tratto che si fa
disarrampicando. Poco prima della Grande Corde facciamo delle doppie da 25 m che ci
portano di nuovo all'anfiteatro. Da qui facciamo il traverso e giungiamo al Linceul (un
‘lenzuolo’ di neve ghiacciata molto ripida) dove ci assicuriamo, come all'andata, con un cordino a mo di
ferrata. Daniele scivola sul ghiaccio e io non riesco a trattenerlo perche' ho lasciato la corda
lasca (visto che stiamo usando il cordino). Scivola per una decina di metri lungo il cavo
d'acciaio finche’ non si ferma. Fortunatamente non e' successo nulla di serio.
Alle 14:30, dopo 5 ore, siamo di ritorno alla Carrel.
Abbiamo tutto il tempo per scendere fino a Cervinia. Ci fermiamo a riposare e mangiare. Telefono
ad Elena e gli comunico dell'ennesima impresa di quest'anno. L'hanno scorso avevo sparato:
"l'anno prossimo faccio il Bianco e il Cervino". Mai e poi mai avrei pensato di farlo
veramente. Anzi, in realta' ho fatto molto di piu'! Solo nell'ultimo mese ho fatto, nell'ordine, la cresta
Est alla Punta Kennedy (26/7 - con Fabio), la traversta del Monte Bianco (5/8 - con Roberto e
Andrea), la Zippert allo sperone nord del Pizzo Palu' occ. (11/8 - con Lorenzo), la Corda Molla al
Monte Disgrazia (15/8 - con Elena) e il Cervino (25/8 – con Daniele). Tutto cio' trovando
sempre tempo splendido e condizioni ottime (a parte il vento a 80Km/h sul Bianco!). Fortuna ? Puo'
darsi, ma non credo. Io penso piuttosto che Qualcuno mi osservi e mi curi molto attentamente da
lassu' in alto dove nessuna montagna puo' arrivare. Quando raggiungo una vetta il mio pensiero
va sempre al Signore e a mio padre (suo il berretto blu che ho sempre con me) che sento piu'
vicini.
Tornando "a terra", penso anche che un
merito fondamentale ce l'abbia il corso di alpinismo avanzato che ho fatto alla SEM. Se l'obiettivo del
corso e' quello di insegnare all'allievo ad andare a fare certe vie in alta quota in piena
autonomia e sicurezza (piuttosto che fare delle belle gite fine a se stesse), allora posso dire che, per
quanto mi riguarda, l'obiettivo sia stato centrato in pieno. E dunque il mio ringraziamento va a Roberto e a
tutti gli istruttori.
Lorenz